La nuova definizione di salute , a cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la quale sostituisce la vecchia defininizione del 1948, ha avuto una grande influenza sulla gestione del malato.
La vecchia definizione del 1948 indicava la Salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale, psicologico, emotivo e sociale”. Questa definizione introduceva la soggettività della valutazione e prendeva in considerazione non solo gli aspetti medici che, con il passare degli anni hanno stimolato inizialmente una valutazione globale della qualità della vita e, successivamente, il coinvolgimento attivo e attento negli interventi sanitari. Considerare la salute come uno stato di completo benessere ha prodotto un processo ec di medicalizzazione, volto a un globale benessere fisico, mentale, psicologico, emotivo e sociale. Per chi conosce la realtà medica è questo un traguardo spesso impossibile da raggiungere: obiettivo, questo, difficile da raggiungere.
È evidente, però, che dal 1948 a oggi il mondo è cambiato radicalmente. L’aspettativa di vita delle persone è aumentata e con essa anche il numero delle malattie croniche, spesso degeneranti e invalidanti. Nel paziente affetto da malattia cronica il lavoro clinico è legato ad altre attività di cura come per esempio il monitoraggio dei dati clinici e il controllo dell’evolversi della malattia in quanto la patologia procede con fasi improvvise di riacutizzazione o con caratteristica di prevedibilità. Pertanto, fondamentale è la presa in carico il paziente cronico per poter procedere con la programmazione degli interventi terapeutici . Si passa così da un approccio specialistico di tipo tradizionale ad un approccio incentrato sulla persona, sulla valutazione globale e multidisciplinare dei bisogni, per migliorare qualità di vita e salute.
In queste condizioni, purtroppo, il completo benessere fisico diventa ancor di più un traguardo irraggiungibile.
Ecco che , dopo anni di studi e di valutazioni , nel 2011 si è arrivati ad una nuova definizione di salute considerata “la capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”. Definizione, questa, che sposta l’attenzione sulla capacità dell’uomo di convivere con la malattia nelle sue varie fasi. È chiaro che l’invecchiamento e la cronicità influenzeranno le modalità di valutazione dello stato di salute, però, attraverso lo sviluppo di risorse interne, tipiche di ciascun individuo, si possono affrontare con successo anche condizioni di malattia e di invalidità.
Quindi, se la definizione del 1948 poteva aver portato ad un eccesso di medicalizzazione con consumo eccessivo di risorse non sempre associato ad aumento dello stato di salute, ;la nuova definizione vorrebbe portare a un uso più razionale e mirato delle risorse con esiti positivi sulla salute delle persone. E’ importante garantire al paziente il miglior esito clinico, ritardando il sopraggiungere di conseguenze in termini di disabilità Il paziente imparerà a convivere con la sua malattia , prenderà maggiore coscienza del suo stato di salute e questo gli consentirà di autogestirsi e vivere anche in condizioni di irreversibile perdita di salute.